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Opinioni

Gli impatti climatici sull’economia italiana

L’impatto del cambiamento climatico sull’economia globale

Per definizione, i cambiamenti climatici riguardano il cambiamento che altera la composizione dell’atmosfera globale e, come conseguenza di ciò, implicano l’aumento, in intensità e frequenza, di fenomeni estremi, quali forti temporali, inondazioni, siccità, aumento del livello dei mari, perdita di biodiversità. Tali cambiamenti sono una conseguenza dell’aumento della temperatura atmosferica causato delle emissioni di gas serra generate negli ultimi decenni dalle attività umane, in particolare dalla combustione di vettori energetici fossili e dal disboscamento delle foreste tropicali.

Fig 1.

Le conseguenze ambientali sono ben note, come l’innalzamento delle temperature, alluvioni, siccità. Ma a fronte di tali conseguenze più visibili, è ancora limitata la consapevolezza dell’impatto dei cambiamenti climatici sull’economia. In merito a ciò, uno studio dell’Università della California, Berkeley, ha evidenziato che se l’attuale situazione di emergenza climatica non dovesse migliorare, nel 2100 si rischierebbe di osservare una riduzione del 23% del PIL globale.

La stessa indicazione viene data dallo studio “Temperature variability implies greater economic damages from climate change” condotto dalla Georgetown University, insieme alla Warwick University, secondo il quale gli effetti dei cambiamenti climatici hanno un impatto sull’economia di migliaia di miliardi di dollari. I modelli di previsione economica che vengono utilizzati dagli scienziati attualmente non riescono a tenere in considerazione le variazioni delle temperature globali e, soprattutto, l’imprevedibilità di queste ultime.

In occasione della presentazione del suddetto studio presso la Warwick University, Sandra Chapman spiega che “le variazioni della temperatura della Terra si traducono in danni economici. Il nostro lavoro stima i danni economici aggiuntivi che possiamo aspettarci a causa di queste fluttuazioni della temperatura media globale, oltre al graduale aumento delle emissioni di CO2 in atmosfera”. Inoltre, Raphael Calel della Georgetown University aggiunge che nello studio è stata identificata “una nuova categoria di costi economici: quelli derivanti dalle fluttuazioni imprevedibili, ma inevitabili, del clima globale”, fluttuazioni che “dobbiamo affrontare”. E, sempre secondo Calel, per prevenire tali perdite “abbiamo bisogno di una serie più diversificata di risposte politiche, con maggiori investimenti in adattamento e sulla resilienza”.

Il report “This is a crisis, facing up the age of environmental breakdown” del think-tank britannico Institute for Public Policy Research del 2019 illustra l’impatto negativo, sia a livello locale sia a livello globale, dei cambiamenti climatici sul sistema sociale ed economico. Tale studio rivela il modo in cui i fenomeni atmosferici estremi, come siccità e alluvioni, possano compromettere la stabilità economica, sociale e politica, in un modo ancor più prorompente della crisi economico-finanziaria del 20081. Il costo sociale della CO2 emessa, vale a dire il danno complessivo che provoca alla società, si aggira mediamente intorno a 417 dollari ogni tonnellata, con una forbice che oscilla tra 117 e 805 dollari in base al paese e alla classe sociale di riferimento.

A questo punto dell’analisi, le domande che vengono da porsi sono le seguenti: quali saranno gli effetti del cambiamento climatico sulle nostre vite quotidiane se la temperatura dovesse alzarsi di qualche grado? E, ancora, quali ripercussioni si potrebbero avere sull’andamento dell’economia italiana?

I cambiamenti climatici in Italia e le conseguenze economiche

Anno dopo anno, in Italia si registrano conseguenze del cambiamento climatico sempre più evidenti. L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha osservato una serie di variazioni e anomalie climatiche sul territorio nazionale, come precipitazioni di intensità eccezionale, piogge persistenti e abbondanti su tutto il territorio, venti di tempesta che hanno causato forti mareggiate, frane e smottamenti, ma allo stesso tempo sono state registrate durature condizioni di siccità in gran parte della penisola. Inoltre, è stato registrato che, negli ultimi 35 anni, le notti e i giorni freddi sono stati quasi sempre inferiori alla media climatologica, mentre le notti e i giorni caldi sono stati quasi sempre superiori alla media climatologica. Infine, come è possibile riscontrare nella figura precedente, nel 2019 l’anomalia della temperatura media globale sulla terraferma è stata di +1.28°C rispetto al periodo 1961-1990 e gli undici anni più caldi della serie sono stati registrati dal 2005 in poi. Il 2019 rappresenta il quarantatreesimo anno consecutivo in cui l’anomalia globale (terraferma e oceani) ha assunto un valore positivo.

Fig 2.

La variabilità interannuale della temperatura in Italia è illustrata, nella figura seguente, dalle serie di anomalie annuali di temperatura media rispetto alla media climatologica 1961-1990.

Fig 3.

Il 2019, con un’anomalia media di +1.56°C è stato il terzo anno più caldo dal 1961, dopo il 2018 e il 2015. A partire dal 1985 le anomalie sono state sempre positive, ad eccezione del 1991 e del 1996.
Il 2019 è stato il ventitreesimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto alla norma. Otto dei dieci anni più caldi della serie storica sono stati registrati dal 2011 in poi, con anomalie comprese tra +1.26 e +1.71°C.
L’Italia risulta essere uno dei paesi europei più vulnerabili in termini di effetto dell’innalzamento delle temperature ed è il Paese che pagherà di più il riscaldamento climatico. Le proiezioni mostrano una relazione statisticamente rilevante tra temperatura e performance economica nel lungo termine. I cambiamenti climatici avranno come effetto una riduzione del Pil pro-capite italiano pari a -0,89% nel 2030, -2,56% nel 2050 (con un aumento di temperatura di circa 2°C rispetto al periodo preindustriale) e -7,01% nel 2100 (con un aumento di temperatura superiore a 4°C rispetto al periodo preindustriale). Per poter capire la portata del fenomeno, la si può paragonare alla crisi economico-finanziaria che l’Italia ha vissuto nel decennio 2008-2018, quando il Pil pro-capite è diminuito del 5,4%.
Inoltre, tale studio evidenzia l’importanza degli Accordi di Parigi. Se questi ultimi venissero rispettati il PIL pro capite diminuirebbe come segue: -0,01% nel 2030, -0,02% nel 2050, -0,05% nel 2100 (con un aumento della temperatura entro i 2°C).

Fig 4.

Nella figura sono rappresentati gli impatti dell’innalzamento della temperatura sulla performance economica (variazioni percentuali del PIL pro capite rispetto alle attuali condizioni climatiche) per provincia italiana, nello scenario in cui l’innalzamento della temperatura media globale sarà compreso nell’intervallo 2,6–4,8°C (2050 a sinistra e 2080 a destra).
I cambiamenti climatici aumentano la disuguaglianza economica tra le regioni. Gli impatti saranno più accentuati nel sud Italia, divaricando ulteriormente la disparità tra Nord e Sud. Nello scenario più estremo in cui la temperatura aumentasse di 4°C, la disuguaglianza risulterebbe del 16% nel 2050, fino ad arrivare al 61% nel 2080.
La maggior parte di questi studi, però, non prende in considerazione alcune categorie a causa della loro difficile quantificazione in termini di PIL, come ad esempio gli impatti conseguenti gli eventi estremi, gli impatti sulla salute e quelli su ecosistemi e biodiversità. L’aumento dei fenomeni climatici estremi metterà a repentaglio le aree urbanizzate, già vulnerabili per la presenza di superfici impermeabili, ricoperte da cemento e asfalto, con poche aree di carattere naturale (suolo e vegetazione). In questo contesto le fasce più fragili della popolazione, quali bambini, anziani, disabili, subiranno le maggiori ripercussioni: incrementi di mortalità per cardiopatie ischemiche, ictus, nefropatie e disturbi metabolici da stress termico e un incremento delle malattie respiratorie dovuto al legame tra concentrazioni di ozono e PM10 da una parte e temperatura dall’altra. Per tutte queste ragioni, i valori riportati devono essere quindi considerati delle stime per difetto.

Una valutazione economica degli impatti per settori chiave

Oltre agli studi relativi alle conseguenze sull’economia nel suo complesso, sono state condotte diverse ricerche che indicano delle stime economiche divise per settore, riportando i cosiddetti costi diretti. Rispetto agli studi precedenti, tale analisi è “parziale”: non considera infatti le potenziali interazioni all’interno dell’intero sistema economico. Tuttavia, il quadro che si delinea è quello di un paese in cui i cambiamenti climatici comportano elevati rischi economici anche per diversi settori produttivi.
I seguenti risultati fanno parte della rassegna compiuta in ambito del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici per l’Italia, con alcuni aggiornamenti più recenti.
L’incremento di temperatura, con conseguenze quali lo scioglimento della neve, del ghiaccio e del permafrost, risulta essere rilevante nell’inasprimento del rischio geo-idrologico. Secondo la ricerca condotta dal Joint Research Centre della Commissione Europea sono previsti degli elevati impatti economici in seguito all’aumento di fenomeni di dissesto idrogeologico. L’Italia viene classificata come il paese europeo con la più alta esposizione economica al rischio alluvionale. In uno scenario di aumento di temperatura pari a 3°C al 2070, i costi diretti in termini di perdita attesa di capitale infrastrutturale si aggirerebbero tra gli 1 e i 2,3 miliardi di euro annui nel periodo 2021-2050, e tra gli 1,5 e i 15,2 miliardi di euro annui nel periodo 2071-2100.

Fig 5.

I cambiamenti climatici stanno interessando anche l’ambiente marino, sia costiero che di mare aperto, determinando un aumento delle temperature superficiali e del livello del mare, oltre che dell’acidificazione delle acque marine e dell’erosione costiera. Come conseguenza, elevati costi attesi sono attribuibili all’innalzamento del livello del mare e alle inondazioni costiere. In una ricerca condotta dal Joint Research Centre della Commissione Europea, nel caso in cui le temperature medie globali aumentino, sono state osservate delle perdite a causa delle inondazioni costiere di circa 900 milioni di euro nel 2050 e di circa 5,7 miliardi di euro nel 2100. Se, invece, si riuscissero a controllare le emissioni e di conseguenza stabilizzare le temperature a circa il doppio dei livelli preindustriali, le perdite attese nel 2050 sarebbero circa 650 milioni di euro e nel 2100 circa 3,1 miliardi di euro.
Strettamente correlato all’ambiente marino, da tenere in considerazione è il settore ittico. Anche se al momento non è possibile prevedere con esattezza gli impatti dei cambiamenti climatici sulla fisiologia delle specie allevate, sulla disponibilità di siti idonei e sulla capacità produttiva delle aziende, è bene evidenziare che, in Italia, l’acquacoltura è particolarmente sviluppata nelle zone valutate come quelle più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Gli impatti stimati sul pescato delle principali specie ittiche commerciali in Italia misurano una diminuzione di circa 8-9 punti percentuali nella produzione settoriale al 2036.
A rischio risultano essere anche le produzioni agricole, già colpite sempre più frequentemente dalla presenza dei fenomeni estremi, con impatti negativi anche per il settore dell’allevamento. Il settore agricolo appare essere uno dei settori maggiormente colpiti dai cambiamenti climatici a causa di fenomeni quali siccità e scarsità idrica. Uno studio condotto a livello europeo stima che in Italia, in caso di innalzamento della temperatura tra 2°C e 5,4°C rispetto all’epoca preindustriale, si verificherà una contrazione dei terreni agricoli valutabile tra gli 87 e 162 miliardi di euro al 2100.
Un ulteriore settore che verrà colpito dagli effetti dei cambiamenti climatici è quello turistico. Uno studio della Commissione Europea ha analizzato come le variazioni delle temperature potranno influenzare i flussi turistici: si stima una riduzione degli arrivi internazionali del 15% in uno scenario di aumento della temperatura di 2°C e del 21,6% in uno scenario di aumento di 4°C. Nella figura è riportata la variazione percentuale dei flussi turistici internazionali nel 2050 rispetto a una situazione di non cambiamento climatico.
Bisogna tenere conto, però, del comportamento dei turisti nazionali, per cui l’impatto netto sulla domanda totale italiana risulta in diminuzione di circa il 6,6% con un aumento della temperatura di 2°C e di 8,9% con un aumento di 4°C, con perdite dirette stimate, rispettivamente, in 17 miliardi e 52 miliardi di euro.
Da tenere in considerazione anche il segmento turistico invernale. Solo il 25-30% delle stazioni sciistiche di Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Trentino e Piemonte avrebbero una copertura nevosa naturale sufficiente a garantire la stagione anche con una variazione di temperatura di 1°C. Mentre nel caso di una variazione di 4°C, solo il 18% di tutte le stazioni sciistiche italiane avrebbe una copertura nevosa naturale idonea a garantire la stagione invernale.

A livello italiano non sono disponibili delle valutazioni economiche sulla variazione dei consumi o della produzione energetica a causa dei cambiamenti climatici.
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici per l’Italia riporta un significativo aumento dei giorni in cui la temperatura media giornaliera supera i 24°C, i cosiddetti cooling degree days, sia nel caso in cui la temperatura globale aumenti di 2°C sia nel caso in cui aumenti di 4°C. Allo stesso tempo, viene riportata una riduzione dei giorni in cui la temperatura media giornaliera scende al di sotto dei 15°C, i cosiddetti heating degree days. Alla luce di tali dati, si potrebbe quindi concludere che vi sarà un incremento dei costi per le tecnologie di raffrescamento che supererà i risparmi relativi alla tecnologie di riscaldamento.
L’offerta di energia dovrà fronteggiare una problematica inerente alla gestione dei flussi, dato che la disponibilità delle risorse idriche per la produzione idroelettrica o per il raffreddamento delle centrali termoelettriche è prevista ridursi.
Un ulteriore elemento che influisce sull’offerta di energia riguarda gli eventi climatici estremi previsti sempre in maggior numero, con conseguenze sulla sicurezza e sulla continuità della produzione e distribuzione.
Inoltre, bisogna tenere conto degli effetti sulle reti elettriche causati dagli aumenti della temperatura e dalla siccità: riduzione della capacità dei trasformatori, aumento della resistenza dei cavi e, di conseguenza, un aumento delle perdite di trasmissione. La capacità di trasporto dei cavi sotterranei diminuisce anche in seguito al calo dell’umidità del suolo ed è quindi vulnerabile agli episodi di siccità.

Fig 6.

Nella figura vengono riassunti i costi degli impatti ambientali divisi per i settori analizzati precedentemente.

Considerazioni conclusive

In conclusione, i cambiamenti climatici rappresentano una delle maggiori sfide del secolo. La scienza concorda nell’attribuire l’aumento di temperatura alle emissioni di gas serra causate dalle attività umane. La temperatura del pianeta è già aumentata di un grado centigrado rispetto ai livelli preindustriali, e secondo le proiezioni crescerà fino ad aumentare di circa 4–5°C a fine secolo, portando con sé conseguenze climatiche e fisiche sempre più evidenti e impatti sull’economia e sulla società sempre più importanti. A livello italiano è già possibile prevedere che le conseguenze del cambiamento climatico costeranno all’economia diverse decine di miliardi di euro già dal prossimo decennio.
Risulta quindi necessario mitigare tali impatti innanzitutto come dovere morale nei confronti delle future generazioni, come sottolineato dal rapporto Brundtland del 1987. Da ultimo, poi, non possiamo non sottolineare come iniziare ad investire nella direzione di uno sviluppo sostenibile, modello di sviluppo per il futuro raccomandato anche e soprattutto dal Green Deal europeo, sia un’opportunità che l’Italia non può in nessun modo lasciarsi scappare. Una gestione competente e innovativa delle risorse economiche disponibili, ricorrendo magari a nuovi modelli di produzione e di impresa e a nuove modalità orientate a una gestione sostenibile del territorio, dovrà essere la sfida da affrontare e vincere, facendo in modo che simili logiche entrino a far parte del bagaglio “culturale” di imprese ed enti pubblici, locali e nazionali.

F. Terzoli per B.Cy.

 

Riferimenti

Burke M., Hsiang S., Miguel E., “Global non-linear effect of temperature on economic production”, Nature 527, 2015, pp. 235-239

Calel R., Chapman S., Stainforth D., Watkins N., “Temperature variability implies greater economic damages from climate change”, Nature Communications, ottobre 2020

Laybourn-Langton L., Rankin L., Baxter D., “This is a crisis, facing up the age of environmental breakdown”, Institute for Public Policy Research, febbraio 2019

Ricke, K., Drouet, L., Caldeira, K. et al., “Country-level social cost of carbon”, Nature Climate Change 8, 2018, pp. 895-900

Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Gli indicatori del CLIMA in Italia nel 2019, Anno XV, 2020

Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), Analisi del Rischio. I cambiamenti climatici in Italia, 2020

Fondazione Sviluppo Sostenibile, Relazione sullo stato della green economy 2019: focus sugli impatti economici dei cambiamenti climatici in Italia, 2019

Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, 2018

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