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Immigrazione, demografia e crescita economica: un trinomio indissolubile

L’Italia è oggi, insieme alla Germania e al Giappone, tra i paesi più “super aged” del mondo; vale a dire che almeno un abitante su cinque ha già compiuto 65 anni. Ciò comporterà, secondo gli ultimi dati ISTAT, una situazione in cui, la popolazione residente in Italia nel 2065 si attesterà sui 53,7 milioni, ben 7 milioni in meno di oggi (-11%).
Le variazioni della composizione e della dimensione della popolazione influenzano inevitabilmente la crescita economica italiana, in primo luogo perché invecchiando la popolazione e mantenendo invariata l’età di pensionamento, si assiste ad una inevitabile riduzione della quota di popolazione in età lavorativa. Una delle principali conseguenze dell’aumento della quota di anziani nella popolazione (come anche, in modo differito, del calo della natalità) è dunque la riduzione dell’offerta aggregata di lavoro.
Di fronte un tale scenario demografico e alla luce delle conseguenze che esso comporta per l’intero sistema economico del Paese, l’aumento dei residenti stranieri ormai in atto a ritmi sostenuti da anni e in controtendenza con il diminuire della popolazione italiana (Figura 1), non può che essere valutato come un valido contributo al sostentamento del sistema di welfare e pensionistico italiano e come un significativo strumento per contribuire a mantenere alta la forza lavoro.

Figura 1: Popolazione residente in Italia per cittadinanza al 1° gennaio (v.a. in migliaia). Anni 2015-2018.

Fonte: Elaborazione Direzione SAS di Anpal Servizi su dati ISTAT (Bilancio Demografico)

Uno studio realizzato dalla Banca d’Italia nel 2018, evidenzia chiaramente il significativo contributo che la componente straniera assicura alla crescita dell’economia italiana attraverso l’incremento della forza lavoro.
In particolare, lo studio sottolinea che la quota di popolazione in età lavorativa che ha raggiunto un massimo del 70 % all’inizio degli anni ’90, ha cominciato a flettere negli ultimi venticinque anni e, sulla base delle previsioni, continuerà a ridursi nel prossimo cinquantennio fino a scendere sotto il minimo storico (59 % registrato nel 1911) dopo il 2031. Scomponendo questa quota per cittadinanza, risulta evidente che circa un quarto della popolazione in età da lavoro sarà costituita nel 2061 da cittadini stranieri. In uno scenario limite in base al quale la quota di popolazione straniera fosse pari a zero, nel 2061 la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) sul totale della popolazione, prevista pari al 55%, si assesterebbe poco sopra il 50% (Figura 2).

Figura 2: Quota di popolazione in età lavorativa: scomposizione per cittadinanza. (Percentuali. In giallo la quota di cittadini stranieri. Dal 2021, previsioni Istat).

Fonte: ISTAT

Il contributo delle dinamiche demografiche come sopra anticipato, può essere valutato dal punto di vista contabile come fattore decisivo nella determinazione della domanda aggregata di lavoro. Il contributo demografico può essere espresso con un indicatore definito demographic dividend (DD), uguale alla differenza tra il tasso di crescita della popolazione in età da lavoro (15- 64; WAG) e la popolazione complessiva (POP), in formule:

dove il punto indica il tasso di crescita. Come risulta dalla Figura 3, il demographic dividend, a lungo positivo nel corso della storia italiana, è risultato negativo nell’ultimo venticinquennio, segnalando un mutamento strutturale nel regime demografico (Figura 3).

Figura 3: Demographic dividend in Italia (tasso di crescita medio annuo; valori percentuali)

Fonte: ISTAT

Nel complesso nel corso del XX, l’Italia ha presentato una working age population e una conseguente crescita della produttività superiore alla media delle altre economie avanzate. Dagli anni ‘60 tuttavia, la transazione demografica ha prodotto effetti negativi più accentuati in Italia rispetto agli altri Paesi, con un aggravamento dall’ultimo decennio del XX secolo.

Gli sviluppi demografici sarebbero stati ancora più critici per l’economia italiana, se non fosse intervenuto negli ultimi 25 anni un significativo flusso migratorioin entrata. Storicamente, fino agli anni ’80 del XX secolo, l’Italia è stato essenzialmente un paese di emigrazione, solo in tempi recenti questo carattere si è ribaltato. Secondo i dati Istat, nel 1981 i cittadini stranieri residenti (registrati all’anagrafe) in Italia erano poco più di 200.000, lo 0,4 per cento della popolazione, mentre  al 1° gennaio 2019 sono pari a 5.255.503, l’8,7% della popolazione residente. Tale percentuale si ritiene continuerà ad aumentare vista la tendenza positiva dei flussi migratori in arrivo nel nostro Paese.

Lemigrazioni influenzano direttamente ed inevitabilmente la struttura per età della popolazione. Oggi, come ieri, la maggior parte dei migranti è rappresentata da giovani individui,  che aumentano la quota di popolazione in età lavorativa e consentono  il  ridursi della dependency ratio della popolazione più anziana.

I giovani migranti in piena età lavorativa, rappresentano in particolare una risorsa essenziale per sostenere alcuni settori in declino, uno fra tutti quello dell’agricoltura. A tal proposito è significativo notare che, mentre l’incidenza percentuale dei lavoratori stranieri sul totale degli occupati è attualmente al 10,6%, nel settore agricolo l’incidenza  dei lavoratori stranieri supera il 17% del totale.

Inoltre,  i tassi di fertilità delle popolazioni migranti provenienti da paesi a basso reddito tendono ad essere elevati, ciò determina un innalzamento (o meglio un contenimento del calo) del tasso di fertilità medio nazionale. Tale ultimo fenomeno si ipotizza persisterà per un paio di generazioni,  fino a quando “il comportamento riproduttivo dei migranti non convergerà  verso i minori tassi di fertilità delle popolazioni autoctone” (Kahn 1988; Andersson 2004; Sobotka 2008).

Ancora,  secondo i dati forniti da un rapporto Ocse, i cittadini stranieri presenti nel territorio italiano pagano più tasse e contributi previdenziali di quanto non ricevano dal welfare nazionale in termini di sussidi di disoccupazione, pensioni o altre prestazioni sanitarie.

Sempre l’Ocse ha calcolato per l’Italia una spesa per le pensioni dei cittadini stranieri pari ad appena lo 0,2% del totale.

L’insieme degli elementi appena evidenziati permette di constatare un indiscutibile contributo proveniente dalla popolazione straniera alla crescita del PIL italiano (Figura 4). È infatti possibile notare che,  il supporto degli stranieri, modesto nel decennio 1981-1991, è andato progressivamente aumentando coerentemente con l’aumento della popolazione immigrata.

Tabella 1: Contributo dell’immigrazione alla crescita. (crescita complessiva nel periodo; valori percentuali).

Fonte: Banca D’Italia

Particolarmente significativo è stato il contributo alla crescita del PIL avutosi nel decennio 2001-2011: la crescita cumulata positiva e pari a 2,3 punti percentuali, sarebbe risultata negativa e pari a -4,4 % senza l’apporto della componente straniera.

E ancora, la flessione del PIL pro capite registratasi nel quinquennio 2011-2016, pari al -4,8 % sarebbe stata del -7,4 %  senza il contributo decisivo della popolazione immigrata.

In definitiva e alla luce di quanto sopra affermato, non si può non sostenere che la componete straniera della popolazione sia oggi una risorsa indiscussa per l’economia nazionale. Superando il lato emergenziale del fenomeno migratorio e accantonando gli stereotipi che rappresentano gli immigrati quali minacce per la stabilità del Paese o semplici vittime da accudire, è possibile promuovere un’integrazione a lungo termine che sia vantaggiosa per l’intero Sistema Paese. Un’efficace politica d’immigrazione, che garantisca un inserimento effettivo della popolazione straniera nel tessuto sociale italiano e una valida formazione della stessa, avvantaggerebbe senz’altro quelle situazioni interessate da una particolare sofferenza socio-economica, portando inevitabilmente ad un ulteriore sviluppo ed una crescita significativa del capitale umano nel nostro Paese con conseguenti  ripercussioni positive sull’intero sistema economico nazionale.

Martina Gancitano per  Business Cycle

Bibliografia di riferimento:

  • Il contributo della demografia alla crescita economica: duecento anni di “storia” italiana, in Questioni di Economia e Finanza (Occasional Paper), Banca d’Italia,  di F. Barbiellini Amidei, M. Gomellini e P. Piselli, N. 431- Marzo 2018.
  • IX Rapporto Annuale. Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia, A cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, Luglio 2019.

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