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Opinioni

Recovery Fund: un’occasione di slancio per l’economia

La pandemia da COVID-19 ha evidenziato criticità del sistema-Paese Italia mai affrontate adeguatamente. Debolezze politiche, strutturali, competitive,  relative all’equità sociale, di genere e territoriale. La stessa idea di Europa è stata messa a dura prova da fenomeni epocali che hanno risvegliato spinte sovraniste e populiste, evidentemente mai sopite del tutto.

I vari “lockdown” e le misure per combattere la diffusione del COVID-19 hanno causato in Italia:

  • Un forte calo del PIL, pari a -12,8% nel 2020 (Fig. 1);
  • L’incremento del rapporto debito/PIL che è salito dal 134% al 166.1% a fine 2020;
  • Un maggiore rapporto deficit/PIL che salirà al 12,7%.

Fig.1: PIL italiano dal 2008 e stime sino a fine 2020 (fonte ISTAT)

Oggi il dibattito politico ed economico in Europa e in Italia ha come priorità il Recovery Fund, “un fondo per la ripresa con titoli comuni europei per finanziare la ripresa di tutti i Paesi più colpiti, tra cui l’Italia”, nella definizione offerta dall’ex Premier Giuseppe Conte.[1]

Il Recovery Fund prevede un piano da 750 miliardi di euro suddivisi in 390 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti. Per l’Italia sono previsti fondi per 208,8 miliardi di euro così suddivisi: 127,4 miliardi di prestiti e 81,4 miliardi di trasferimenti.[2]

La condizione è che si presenti un piano di riforme coerente e credibile con le richieste dell’UE, pena un “freno” all’erogazione dei flussi. Il piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR) dovrà superare l’esame della Commissione Europea, per essere poi sottoposto all’approvazione del Consiglio Europeo.

Fig.2: (Fonte “Il Messaggero” 12/01/2021)

Quattro le direzioni sulle quali l’Europa chiede all’Italia un’azione efficace: sanità,  lavoro, istruzione e innovazione. Inoltre, l’Italia dovrà promuovere gli investimenti per la ripresa, con un focus sul green e la digitalizzazione, passando anche per il miglioramento del sistema giudiziario e dell’efficienza della pubblica amministrazione. Questa politica economica espansiva a livello europeo è un’ occasione unica: le proiezioni indicano una possibilità di incremento del PIL nazionale maggiore del 2% entro il 2026 e, inoltre, la componente a fondo perduto permetterebbe di comprimere il rapporto debito pubblico/PIL di oltre 5 punti.

Dato che tutti i Paesi usciranno dalla crisi con debiti pubblici significativamente più alti, la sostenibilità potrà essere raggiunta solo con tassi di sviluppo dell’economia superiori ai tassi di interesse.

Pandemia, crisi economica e sospensione cautelativa di tanti impegni di spesa da parte di famiglie e imprese hanno determinato un aumento a doppia cifra dei depositi bancari, cresciuti in dicembre dell’11% rispetto ai dodici mesi precedenti, contro il +8,7% segnato a dicembre.  La via maestra per risollevarsi è proprio il rilancio della domanda aggregata e l’economista inglese Keynes torna drammaticamente attuale. È necessario che qualcuno si facciacarico di assorbire l’eventuale produzione in eccesso e indurre le imprese a produrre di più.

La domanda aggregata (AD; Fig.3) viene a incrociarsi con l’offerta aggregata (Y; Fig.4), che rappresenta la quantità di beni e servizi che un sistema economico è in grado di produrre.

Fig.3

Fig.4

Sostenere la domanda aggregata con le politiche fiscali e monetarie conduce di conseguenza a una crescita generale del PIL. La domanda aggregata può essere incrementata dal lato dei consumi (C). Secondo Keynes, il consumo aumenta se aumenta il reddito disponibile; per ogni euro di reddito aggiuntivo, il consumo aumenta di un importo pari a c che prende il nome di propensione marginale al consumo, valore compreso tra 0 < c < 1. Per cui C= C + cYD.

Ma l’incremento della domanda aggregata è anche funzione degli investimenti (I). Gli investimenti costituiscono quella parte del reddito che viene spesa non per consumare, ma per avviare ulteriori attività produttive. Anche gli investimenti sono composti da una parte endogena e da un’altra dipendente dal tasso di interesse, che è la percentuale di un prestito che il debitore dovrà restituire in più rispetto alla somma ricevuta. All’aumentare del tasso di interesse quindi, gli investimenti caleranno.

Se riscriviamo AD = C + I = C+ cY + I, come AD = A + cY, dove A = C + I indica la spesa autonoma indipendente dal reddito, possiamo arrivare a scrivere Y= A + cY, da cui raccogliendo i termini comuni e risolvendo rispetto a Y si ottiene Y = 1/ (1- c) A. La frazione 1/ (1- c) viene definita moltiplicatore dinamico, secondo cui l’aumento di 1 unità della variabile indipendente creerà un aumento moltiplicato della variabile dipendente. A prima vista, infatti, può sembrare che un incremento iniziale dell’investimento pari a 1 Euro comporti una crescita del reddito soltanto di 1 Euro; in realtà, l’incremento della produzione sollecitato dalla maggiore domanda comporterà un aumento del reddito che a sua volta sarà speso per beni di consumo. Questo secondo flusso è la spesa indotta, cioè quella originata dall’impulso iniziale. La produzione crescerà ulteriormente per soddisfare la spesa indotta, saranno assunti nuovi lavoratori e quindi anche il reddito complessivo aumenterà generando una seconda ondata di spesa per consumi. Maggiore è la propensione marginale al consumo (c), maggiore sarà l’effetto moltiplicativo.

Fig.5

Il modo migliore per combattere e prevenire le conseguenze di avversità è sicuramente di disporre di un metodo di misurazione e interpretazione dei fatti più accurato possibile. Questo ci porta a considerare il modello IS-LM, inteso come “schematizzazione” del pensiero intellettuale di Keynes. Il modello IS-LM è la rappresentazione dell’equilibrio del sistema macroeconomico per un dato livello di prezzi: in particolare evidenzia l’equilibrio simultaneo del mercato dei beni (curva IS a pendenza negativa) e del mercato monetario (curva LM a pendenza positiva). La curva IS (che rappresenta sostanzialmente la domanda aggregata) è influenzata dalle componenti autonome (A) della spesa e dal moltiplicatore; tra le componenti autonome gli investimenti però sono in realtà influenzati dal tasso di interesse, il cui valore dipende dai mercati finanziari. Nel mercato dei beni quindi, la componente (I) della domanda aggregata è influenzata dal tasso di interesse, per cui a un maggior i si associa un minor livello di investimenti privati nell’economia. Nel mercato monetario (LM) vediamo invece che a maggior disponibilità di spesa corrisponde una maggior domanda di moneta, mentre a maggior i, cioè a maggior costo di detenere moneta, corrisponde una minore domanda di moneta. Possiamo quindi stabilire che vi è l’influenza del tasso di interesse nei due mercati considerati, e il modello IS-LM sintetizza il funzionamento del sistema economico in termini di due variabili: tasso di interesse e reddito.
La combinazione di reddito e tasso di interesse che mantiene in equilibrio i due mercati è evidentemente nel punto in cui la curva IS e la curva LM si incrociano: in questo punto il tasso di interesse e il reddito sono tali che il pubblico detiene la quantità di moneta esistente e la spesa programmata coincide col prodotto. Tuttavia bisogna considerare che questo è un equilibrio fragile, soggetto a variabili esogene e endogene che possono comportare uno spostamento delle curve verso sinistra o destra.
Come indirizzare e stabilizzare l’andamento dell’economia? Attraverso le politiche fiscali e monetarie. È qui, dunque, che entra in gioco il ruolo della spesa pubblica (G) come manovra di politica fiscale, la quale incide sul reddito in maniera analoga a un incremento della spesa autonoma privata per investimenti o consumi. Keynes suggeriva che dovesse essere lo Stato a fare quello che l’economica privata, da sola, non riusciva a fare. Egli in particolare proponeva i lavori pubblici come antidoto alle crisi: la costruzione di strade, ferrovie, case. Tutti questi investimenti non soltanto aumenterebbero la domanda, ma darebbero anche lavoro a centinaia di migliaia di persone.
Il Recovery Fund rappresenta quindi una manovra di politica monetaria espansiva senza precedenti. “Risorse straordinarie dall’UE”, come ha esplicitato il Premier Mario Draghi, aggiungendo un importante monito: “se non saremo in grado di usare bene con saggezza e intelligenza le risorse messe a disposizione da Next generation EU, la reazione sarà durissima e l’Europa farà un significativo passo indietro”[3].
Un aumento così importante dell’offerta reale di moneta comporterà una maggiore liquidità per i cittadini e tassi di interesse più bassi (curva LM che si sposta verso destra). L’aumento della liquidità permetterà di mettere in atto una manovra di politica fiscale espansiva con un aumento della spesa pubblica (G) su modello keynesiano: un aumento di G comporta un aumento della domanda aggregata e di conseguenza, per poter soddisfare la maggiore domanda di beni, il prodotto aumenta (IS si sposta verso destra).
Ci sono però due limiti all’effetto del moltiplicatore di cui bisogna essere consapevoli.

Il primo presuppone che nell’economia vi siano risorse (capitale e lavoro) inutilizzate, perché se così non fosse la maggiore spesa non si tradurrebbe in maggiore produzione, ma in prezzi più alti e/o in spiazzamento degli investimenti privati e in questo caso si rischierebbe che l’aumento di G deprima l’economia, perché gli investimenti sono il motore della crescita; il ragionamento cambia se la spesa pubblica che si vuole aumentare è spesa per investimenti. In questo caso, gli investimenti privati continuerebbero ad essere spiazzati, non a favore di spesa corrente, ma di investimenti pubblici.

Fig.6: (Fonte: elaborazione MazzieroResearch su dati ISTAT).

Il secondo limite è che una maggiore spesa pubblica può sostenere il livello del reddito nel breve periodo, ma tipicamente non fa nulla per rafforzare il potenziale di crescita dell’economia. Quest’ultimo non dipende dalla spesa pubblica (specie se è spesa corrente), ma da fattori di fondo come lo sviluppo tecnologico, la capacità degli imprenditori di organizzare al meglio i fattori della produzione, l’efficienza della pubblica amministrazione, della giustizia e del sistema scolastico.

Superata una prima fase di intervento volta a far ripartire la domanda aggregata e i consumi, la seconda fase dovrebbe concentrarsi sul sostegno agli investimenti e ai settori produttivi. Selezione che in questo senso dovrebbe porre al primo piano politiche che siano in grado di avere un impatto immediato in risposta alla crisi economica generata dal COVID, ma allo stesso tempo privilegiare settori e mercati che hanno mostrato chiari segni di debolezza durante il periodo di lockdown e che devono essere radicalmente convertiti. Questa seconda fase, tuttavia, non può prescindere da una politica complessa che affianchi agli interventi economici significativi interventi normativi di riforma della Pubblica Amministrazione e della Giustizia. Solo in questo modo, la politica fiscale espansiva potrà avere un impatto positivo sia sui mercati che sullo sviluppo successivo dell’economia italiana.

Un primo settore di intervento riguarda l’innovazione tecnologica (Fig.7), la digitalizzazione e il sostegno alla competitività delle filiere strategiche, per il quale sono previsti 46,3 miliardi di euro. Lo scopo è consentire il sostegno agli investimenti delle imprese nell’acquisizione di nuove tecnologie, di servizi qualificati, e di accompagnare il processo di trasformazione digitale, con l’obiettivo di accelerare la ripartenza e ridurre il gap tra crescita potenziale e effettiva. Il PNRR individua nelle PMI “il vero motore propulsivo del sistema Italia”, di conseguenza si vuole garantire un tasso incrementale di crescita degli investimenti delle imprese che porti anche un incremento occupazionale.

Fig.7

Alla “rivoluzione verde e transizione ecologica” sono destinati 69,3 miliardi di euro. L’Unione europea è stata per decenni all’avanguardia a livello globale nella battaglia contro il cambiamento climatico e sta mantenendo ferme le proprie ambizioni anche nella crisi Covid-19; l’Italia è chiamata a fare la sua parte, come nel ridurre le emissioni, migliorare l’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, proteggere e conservare il territorio e le sue risorse per consegnarle migliori alla Next Generation.

Fig.8

Con 31,4 miliardi di risorse, l’intervento sulle infrastrutture mira a realizzare un “sistema infrastrutturale di mobilità moderno, digitalizzato e sostenibile”. L’intervento più corposo di circa 28 miliardi è destinato a potenziare i nodi ferroviari e portuali, ridurre il gap infrastrutturale tra Nord e sud, e mettere in sicurezza la rete stradale.

Fig.9

I 28,5 miliardi di euro destinati al settore della “istruzione e ricerca” vogliono andare a colmare il deficit di competenze che limita il potenziale di crescita, migliorare i percorsi scolastici universitari degli studenti agevolandone l’accesso e rafforzare i sistemi di ricerca e la loro interazione con il mondo delle imprese e delle istituzioni.

Senza dimenticare gli interventi che riguardano “inclusione e coesione” (27,7 miliardi) e “sanità” (19,8 miliardi) Nel primo settore, si deve intervenire sulle ‘fragilità’ sociali (Fig.10): donne e lavoro, giovani, famiglie “marginali” con una precisa attenzione alle discriminazioni di genere. Per quanto riguarda la sanità invece, risulta essenziale indirizzare le risorse per il rafforzamento della resilienza e della tempestività di risposta del sistema sanitario alle patologie infettive emergenti, nonché nella digitalizzazione dell’assistenza medica ai cittadini, senza dimenticare la messa in sicurezza delle strutture ospedaliere.

Fig.10: Elaborazione Censis 2019 su dati Istat.

Tutto quanto sopra guarda a due riforme essenziali che, forse, dovrebbero essere prime in ordine logico e cronologico: la riforma del sistema giudiziario e quella della pubblica amministrazione. Non ci scordiamo infatti che i fondi europei da investire nelle infrastrutture arriveranno a condizione che siano terminate entro il 2026.[4]

Ormai ben oltre dieci anni fa, l’allora Presidente della Bce Jean-Claude Trichet metteva in guardia da un eccesso di gioco finanziario che non fosse a servizio dell’economia reale quando affermava: “Dobbiamo considerare le questioni fondamentali sull’importanza relativa e i limiti del puro gioco finanziario sui mercati, sul potenziale abuso del potere dei mercati e, cosa più importante, sulla funzione del settore finanziario nell’ambito della più ampia economia. Dal mio punto di vista c’è un chiaro test chiave per questa funzione: se la finanza sia a servizio dell’economia reale o meno“. Da allora il divario tra economia reale e finanza è andato ampliandosi.[5]

La profonda riforma del settore finanziario promessa dopo la crisi scoppiata nel 2007/2008 non è stata portata a compimento e il rendimento finanziario si è esaltato a discapito dei benefici sociali generati da un’economia prevalentemente reale.

Ecco, questa drammatica esperienza scatenata dalla pandemia da Covid-19, paradossalmente, rappresenta la grande occasione anche per restituire all’economia reale la dignità che merita.

P. Barbuti per B.Cy.

Riferimenti:

[1] Money.it: “Recovery fund: cos’è e come funziona? La guida completa.” Cristiana Gagliarducci, 11 dicembre 2020.

[2] Salvo ricalcoli ulteriori da parte del neo Ministro dell’Economia Daniele Franco.

[3] Il Sole 24 Ore, “Draghi: riscriverò il recovery plan”, di Barbara Fiammeri, 5 febbraio 2021.

 

[4] Per approfondimento vedi: Il Sole 24 Ore, “Allarme ANCE: con queste regole Recovery attuato meno del 50%”, di Giorgio Santilli, 5 febbraio 2021.

[5] La Repubblica, “La finanza deve essere al servizio dell’economia reale”,19 marzo 2010.

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